[2020-05-04]

Intervista a Claudia Pampinella sul numero di maggio di Tivù

Di seguito l'intervista integrale a Claudia Pampinella, Presidente Doc/It, pubblicata sul numero di maggio di Tivù

 

BISOGNA FARE IN FRETTA. Intervista a Claudia Pampinella

di Linda Parrinello

 

"E' ricca di luci e ombre la situazione del documentario italiano. La luce in fondo al tunnel è senz’altro l’istituzione in Rai della Direzione dedicata spe- cificamente al documentario, in virtù del nuovo piano industriale, e che avrebbe dovuto muo-vere i primi passi questa primavera. Le ombre: che della Direzione fino a fine anno non se ne farà nulla. Colpa del coronavirus. Ma non troppo. Già, perché a leggere la lettera aperta che Claudia Pampinella, presidente di Doc/It, associazione dei documentaristi italiani, e Mario Perchiazzi, vice presidente di Cna-Cinema e Audiovisivo, hanno inviato alla Rai in materia di sostegno pubblico all’audiovisivo in generale, e del documentario in particolare non si è fatto il fattibile. Soprattutto se si considera il modus operandi degli altri Paesi, che sono andati esattamente nella direzione opposta. «In Uk», scrivono gli estensori, «i broadcaster del servizio pubblico hanno unito le forze chiedendo al governo di sostenere i freelance che lavorano nell’industria e che producono il 50% di quei 100mld di sterline che rappresentano il contributo delle industrie creative all’economia del Regno Unito, mentre in Europa le televisioni pubbliche dei vari Paesi si sono impegnate a dare il loro contributo per sostenere la produzione indipendente. Non a caso la franco-tedesca Arte ha deciso di aumentare l’apporto finanziario ai contratti in corso e a quelli futuri del 15% per compensare almeno in parte la difficoltà del momento». Tivù ha intervistato la presidente.

 

Cosa chiedete alla Rai?

In un momento di crisi profondissima che coinvolge tutto il settore dell'audiovisivo chiediamo alla Rai di sostenere e rilanciare il documentario prima di tutto rispettando le quote di investimento nella produzione indipendente previste dalla legge. Ancora una volta, a due anni dall'entrata in vigore del nuovo Contratto di servizio 2018-2022 e a tre anni dalla legge Franceschini, non è stato ufficializzato quale sia stato l'investimento di Rai nella produzione indipendente e in particolare nel documentario, così come la legge e il contratto di servizio prevedono. Obblicghi che tra l'altro porterebbero notevoli vantaggi per l'azienda e la produzione indipendente, così come dimostrato dall'esperienza della fiction italiana. 

 

Che impatto ha l'emergenza corona-virus sul settore?

Pesantissimo per tutto il settore dell'audiovisivo, e in particolare per il mondo del documentario, composto sostanzialmente da micro e piccole imprese. Le misure anti-contagio hanno bloccato innumerevoli case di produzione con piani di lavorazione appena iniziati o in corso. Ha determinato la produzione di documentari stranieri nel nostro Paese e, infine, ha causato la chiusura delle sale cinematografiche, determinando la sospensione della distribuzione di molti documentari, che faticosamente erano riusciti a pianificarla. Per questo abbiamo promosso un'indagine insieme a Cna-Cinema e Audiovisivo con l'obiettivo di restituire una fotografia realistica del 40% del prodotto audiovisivo italiano, che è costituito da produttori indipendenti di lungometraggi e documentari. E i risultati sono allar- manti, se si pensa che abbracciano 13 regioni italiane dal Nord al Sud.

 

Cosa fare per uscire dall’impasse?

Come associazione ci stiamo attivando su più fronti. Il primo è questa indagine finalizzata con Cna per mappare la situazione delle produzioni bloccate. Il secondo è che continuiamo a promuovere l’internazionalizzazione sui mercati esteri; per esempio, da sempre organizziamo una delegazione italiana sui mercati internazionali come Idfa di Amsterdam, Sunny Side of the Doc a La Rochelle e adesso Cpx-Dox, Copenhagen International Documentary Film Festival, al quale - essendo stato sospeso come evento per l’emergenza sanitaria – abbiamo partecipato in forma digitale. E poi stiamo lavorando a Ids - Italian Doc Screenings, il primo e più importante mercato internazionale del settore dal 2004 che si svolgerà nella seconda parte dell’anno in Piemonte, Puglia e Sardegna; e al rilancio di ItalianDoc, la piattaforma principale di rappresentanza del documentario italiano. Il terzo fronte è il nostro lavoro col ministero dei Beni Culturali, al quale abbiamo proposto tutta una serie di misure necessarie a sostegno del settore, in virtù dei 130mln di euro messi a disposizione per l’audiovisivo. Insieme alle altre associazioni di categoria abbiamo proposto la creazione di un tavolo inter-associativo per seguire i vari step anche dopo la fine dell’emergenza, per riuscire a portare avanti tutta una serie di iniziative per il rilancio. Il quarto fronte è, come accennavo, quello Rai.

 

Quali caratteristiche dovrà avere la Direzione Produzione Do- cumentari per poter svolgere il ruolo di volano del settore, come fu a suo tempo per la serialità la nascita di Rai Fiction?

Dovrebbe incrementare un dialogo aperto e franco con i do- cumentaristi italiani, creando una stretta collaborazione. Prima dell’avvio dell’emergenza sanitaria, avevamo incontrato il direttore designato, Duilio Giammaria, e l’incontro era stato senz’altro fruttuoso. All’appello manca soprattutto la definizione di un budget: se non conosciamo l’entità degli investimenti che il servizio pubblico intende mettere in gioco per la produzione del genere, non possiamo fare nessun tipo di ragionamento a monte. Un altro aspetto è che la Rai dovrà impegnarsi a dare maggiori spazi al genere. Oggi, è soprattutto Rai 3, in seconda serata con Doc3, o in day time con Geo e Kilimangiaro, a mettere a disposizione degli slot di programmazione. Invece, bisogna aprire i palinsesti e restituire dignità a un genere che è parte integrante dell’eccezione culturale italiana. Noi raccontiamo l’Italia, non possiamo continuare a essere considerati un genere minore.

 

Come mai non si conosce ancora il budget? Non è già stato inserito a bilancio?

Non è dato sapersi. Capirà però che è fondamentale quantificare quanto il servizio pubblico investe nel settore. Perché questo ci consente di presentarci sui mercati internazionali con una maggiore solvibilità, e non ci costringe a continuare a giocare – alla luce degli investimenti ridotti che possiamo mettere in campo – il ruolo di co-produttori minoritari. Oltre a un budget significativo, il servizio pubblico dovrebbe essere in grado di velocizzare la finalizzazione di contratti di attivazione impegnandosi nei singoli progetti. La qualità della nostra produzione non ha nulla da invidiare a quella di altri Paesi, ma senza l’impegno a monte del broadcaster nazionale non possiamo avere un peso rilevante a livello internazionale. Avere la Rai al nostro fianco ci permetterà di osare di più e affrontare la realizzazione di coproduzioni internazionali più ambiziose. E infine, ma non per ultimo, è importante che la Direzione si faccia promotrice al più presto di un chiaro piano editoriale e delle tipologie di documentario che le reti cercano, in modo che i produttori indipendenti possano sviluppare progetti in linea con le indicazioni ricevute attraverso call pubbliche.

 

Mi sembra di capire che ragioniate in termini di tv generalista.

Perché la Rai ha importanti reti generaliste che potrebbero benissimo ospitare il genere.A parte gli spazi di Rai3, potrebbero aprirsi altre finestre.



Ci sono Alberto e Piero Angela. Entrambi sono la dimostrazione che un buon prodotto può ambire anche al prime time di una rete ammiraglia. Anche Canale 5 ha sperimentato con Viaggio nella grande bellezza con Cesare Bocci. E su Rete4 c’è Roberto Giacobbo.

È vero. L’offerta dei documentari dovrebbe diventare più trasversale, anche perché tutte le reti potrebbero avvantaggiarsi di questi contenuti, se pensati in modo mirato. E lo stesso può dirsi per le reti native digitali, per non parlare delle piattaforme come RaiPlay.

 

Cosa vi proponete per l’immediato futuro?

Che si comprenda una volta per tutte che noi documentaristi siamo dei produttori di senso, e che il nostro non è un contenuto di nicchia. E che la platea televisiva va educata in tal senso, bisogna insistere affinché comprenda che esiste un’offerta differente. I documentaristi sono professionisti che analizzano la realtà contribuendo a mostrarla nelle sue varie sfaccettature, alleniamo il pubblico alla complessità del mondo. Come si può vedere sui canali specializzati e nell’offerte Ott ormai il documentario è un prodotto assolutamente contemporaneo che ha saputo ibridarsi con altri generi, contaminarsi fino al punto da sfuggire alle classiche catalogazioni e che potrà rappresentare, essendo caratterizzato da un costo unitario mediamente più contenuto rispetto ad altri generi, pur a fronte di un alto valore qualitativo, un investimento molto fruttuoso per il servizio pubblico."